Enrico Giovannini: essere portavoce dello sviluppo sostenibile e superare le barriere contro il cambiamento
OVERVIEW – DIALOGHI E TESTIMONIANZE
Una doppia intervista pre e post lockdown a Enrico Giovannini: la testimonianza di uno dei principali player dell’innovazione verso lo sviluppo sostenibile, che ci indica il percorso di coinvolgimento, di impegno personale e le scommesse sul piano nazionale, europeo e globale che vanno vinte per entrare nel corretto equilibrio col pianeta. Emerge così il ruolo della sostenibilità istituzionale come quarto pilastro, insieme a alla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
(Intervista a cura di Gianluca Cocco e Carlo Crespellani P.)
DOMANDA: La sua esperienza professionale è ricca di risultati importanti. Quando e come è emersa questa passione-missione-impegno che lo rappresenta come portavoce e sostenito re di questa nuova filosofia di vita? Quali sono stati i passaggi che l’hanno coinvolto intellettualmente ma soprattutto emotivamente?
RISPOSTA: Dobbiamo tornare al 1976 quando al secondo anno di università lessi un libro sul caos in cui il mondo si sarebbe trovato intorno al 2020-2030. Pensai: “c’è bisogno di dare una mano su questo fronte. Forse devo fare l’economista”. Il libro in questione era il famoso “Rapporto sui limiti dello crescita”, del Club di Roma1, fondato da Aurelio Peccei, tradotto in Italia, in modo impreciso, con “I limiti dello sviluppo”. Dopo una tesi sui paesi in via di sviluppo, mi sono dedicato all’econometria (ndr. Direttore Centrale ISTAT) e alla statistica (ndr. Direttore e Chief Statistician dell’OCSE, poi Presidente ISTAT). Ed è stato proprio quando ero all’OCSE nel 2001 che è avvenuto un passaggio fondamentale per il mio futuro professionale perché ho iniziato ad occuparmi di sviluppo sostenibile quando pochi nel mondo si interessavano al tema. È stato in quel periodo che è maturata l’idea di creare un forum tematico per esplorare la possibilità di superare il PIL come tradizionale indicatore per la misura del progresso del benessere. In seguito, ritornato in Italia come presidente dell’ISTAT, ho applicato quanto avevamo sviluppato all’OCSE ed è nato il BES2, l’indicatore di benessere equo e sostenibile. Anni più tardi, concluso l’incarico di Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali (ndr aprile 2013 – febbraio 2014), nell’estate 2014 fui contattato da Ban Ki-moon, allora Segretario Generale ONU, per preparare l’Agenda 2030 dal punto di vista statistico (ndr co-chair dell’Indipendent Expert Advisory Group on the Data Revolution for Sustainable Development delle Nazioni Unite): una proposta che mi ha riportato al vecchio amore. È stato nel 2015, con la firma dell’Agenda da parte di 193 Paesi e all’ambizioso programma di raggiungere entro il 2030 i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, che mi chiesi chi avrebbe stimolato il nostro Paese ad adottare politiche mirate e misurare il progresso verso la sostenibilità economica, sociale e ambientale. A quel punto mi è venuta l’idea di raccogliere le migliori esperienze delle organizzazioni della società civile che già svolgevano attività mirate allo sviluppo sostenibile per creare una associazione forte e capace di fare massa critica stimolare il governo nella direzione indicata dal Piano d’azione dell’Onu. E così ho creato l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), trovando sostegno in Pierluigi Stefanini Presidente della Fondazione Unipolis, nel Rettore dell’Università di Tor Vergata Giuseppe Novelli e nel direttore della Fondazione Unipolis Walter Vitali. Un’iniziativa un po’ folle, che ha dato vita a una rete che attualmente conta oltre 270 organizzazioni aderenti, diventata rapidamente un punto di riferimento istituzionale e una fonte autorevole di informazione sui temi della sostenibilità. Quella di portavoce dell’ASviS è un’attività che svolgo come volontario ed è un’esperienza meravigliosa. All’inizio avevamo assunto solo una segretaria e ora contiamo su una squadra di 20 persone (tra assunti a tempo pieno e parziale) che si dedicano a far crescere l’Alleanza e alle varie attività che abbiamo messo in campo. In questi quattro anni con l’ASviS mi sono impegnato anche a livello internazionale, come supporto alla Commissione Europea, lavorando dietro le quinte, facendo in modo che, con l’insediamento della nuova Commissione, il lavoro fatto venisse utilizzato per rendere l’Agenda 2030 il nuovo paradigma per le politiche UE degli anni a venire.
DOMANDA: L’ASviS, ha avuto un grande riscontro e ha raccolto un grande consenso nella società civile. Quali nervi scoperti sta toccando il lavoro di ASviS?
RISPOSTA: L’ASviS è nata nel febbraio 2016, periodo nel quale trovammo terreno fertile in una società civile che voleva fare un salto di qualità e che aveva voglia di cooperare per lo sviluppo sostenibile. L’Alleanza è nata per diffondere nel Paese la cultura della sostenibilità e la conoscenza dell’Agenda 2030 e i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile. Ma nessuno può realizzare l’Agenda 2030 da solo, senza unirsi agli altri. E noi siamo riusciti in questi anni a valorizzare le singole competenze per lavorare in una direzione comune. Da allora il tema della sostenibilità è esploso anche a livello internazionale e noi ormai siamo visti come un soggetto di riferimento. Oggi siamo impegnati nell’organizzazione di innumerevoli corsi di formazione, con decine di migliaia di docenti, nelle scuole di ogni ordine e grado, con la rete delle Università per lo sviluppo sostenibile (oggi sono 76 gli atenei che fanno parte della RUS), forniamo corsi di alto livello con le nostre summer school, corsi per gli amministratori pubblici e per i giornalisti. Il segreto del successo dell’Alleanza è lavorare insieme: 600 esperti delle organizzazioni aderenti all’ASviS partecipano volontariamente ai diversi gruppi di lavoro, elaborano documenti tecnici e proposte di policy, mettendosi a diposizione del Paese e della società civile.
DOMANDA: L’ASviS, per sua voce, ha chiesto al Presidente del Consiglio di avviare il dibattito parlamentare sulla proposta di legge per introdurre il principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione, al fine di garantire un futuro a questa e alle prossime generazioni. Quali sono le condizioni perché questa idea diventi realtà, che ricadute potrebbe avere?
RISPOSTA: Il principio di sviluppo sostenibile non è attualmente declinato in modo opportuno nella nostra Costituzione, nonostante la previsione della tutela e valorizzazione del paesaggio e le interpretazioni estensive della Corte Costituzionale. Manca però il principio di giustizia intergenerazionale: la Costituzione, infatti, non chiarisce quali siano i limiti entro i quali la generazione attuale debba soddisfare i propri bisogni senza che questo comprometta i diritti delle generazioni future di fare altrettanto. Questo limite esiste anche nelle Costituzioni di altri Paesi, perché sono state elaborate in periodi storici nei quali le aspettative di qualità di vita per le generazioni successive si pensava sarebbero state certamente migliori delle precedenti. Finalmente oggi si discute, anche a livello internazionale, della necessità di introdurre il principio dello sviluppo sostenibile nelle carte costituzionali. Francia, Svizzera, Norvegia e Belgio lo hanno già fatto, consapevoli che la Corte Costituzionale, nelle proprie valutazioni, debba farsi carico anche della giustizia tra generazioni. Fin dalla sua nascita, l’ASviS preme sulle istituzioni competenti affinché lo sviluppo sostenibile venga introdotto tra i principi fondamentali: una legge che lo non rispetti non può superare il controllo di costituzionalità, essere approvata e inserita nell’ordinamento. La proposta dell’ASviS di riforma costituzionale è in Parlamento già dalla scorsa legislatura ed è stata ripresentata in quella attuale. La Commissione Affari Costituzionali del Senato ha avviato la discussione di proposta di modifica all’ art. 9 della Costituzione3. Parallelamente, nei giorni scorsi (ndr febbraio 2020), il Consiglio Regionale del Veneto ha rilanciato la proposta di riforma costituzionale dell’ASviS.
DOMANDA: Si parla di sviluppo sostenibile come la combinazione e l’integrazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Ma con quale equilibrio tra queste?
RISPOSTA: Il tema è complesso dato che l’equilibrio tra le diverse dimensioni è dinamico e per questo instabile. L’Agenda 2030 però chiarisce i punti da raggiungere e gli strumenti che ogni Paese deve mettere in campo con le giuste declinazioni e articolazioni. Naturalmente, si deve valutare la coerenza di tutte le possibili combinazioni ed è per questo che è molto importante utilizzare una modellistica corretta. L’ASviS ha già mostrato nel 2017 come utilizzare modelli per disegnare le politiche in modo coerente e non contradditorio. Si tratta di un lavoro non banale: anche l’Europa deve investire in questa direzione, dopo aver deciso di utilizzare l’Agenda 2030 come riferimento per le attività politiche di ogni paese. Aggiungo che anche l’OCSE ha pubblicato nel dicembre 2019 un volume dal titolo “La Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo Sostenibile”, presentando specifiche raccomandazioni su come ogni paese debba contribuire al raggiungimento di una coerenza complessiva delle azioni.
DOMANDA: Oggi emerge anche l’importanza della sostenibilità istituzionale, forse a rappresentare il ruolo integrativo a partire dalla trasformazione delle istituzioni e del ruolo pubblico. In che senso e come interpreta questa integrazione? Quale il ruolo e responsabilità della politica, dei singoli cittadini e dei corpi intermedi?
RISPOSTA: La definizione di sostenibilità è stata chiarita molto bene dalla Commissione Brundtland4. Il quarto pilastro, cioè la sostenibilità istituzionale, nel dibattito degli anni ‘90 e 2000 fu accantonato perché nessuno aveva interesse a occuparsi di un argomento tanto “scomodo”. Il tema chiave era costituito dal complesso rapporto di fiducia, inteso come “patto” tra paesi ricchi e poveri: i paesi ricchi (donatori) chiedevano a quelli in via di sviluppo (riceventi) garanzie di una solida sostenibilità istituzionale, ovvero condizioni governative stabili (assenza di contrasti, corruzione, guerre, rivoluzioni), senza però fornire la stessa garanzia da parte loro. Con l’Agenda 2030, il pilastro “istituzionale” è stato posto allo stesso livello degli altri tre. Si tratta di un tema tutt’altro che semplice. Propongo due esempi per aiutare a cogliere la complessità del tema. Dieci anni fa, una delle cause della primavera araba (oltre a corruzione, assenza di libertà individuali, violazione dei diritti umani) fu un problema di tipo ambientale, che fece schizzare alle stelle i prezzi dell’energia elettrica (le centrali idroelettriche non vennero alimentate). I prezzi delle materie prime salirono, dando vita alla crisi economica, poi diventata sociale, per chiudere il cerchio con una crisi istituzionale, che ha provocato conflitti e migrazioni. Il secondo esempio riguarda un episodio più recente: la rivolta dei gilet gialli in Francia. Un corto circuito di coerenza nelle scelte politiche ha scatenato una reazione che, di fatto, blocca la transizione energetica. Se le istituzioni non reggono si scatenano le rivoluzioni: a quel punto economia e società ne risentono pesantemente. Questo ci insegna che errori di coerenza delle politiche, ma anche di funzionamento delle istituzioni e dei mercati, possono rendere impossibile una corretta transizione verso un modello globale di sviluppo sostenibile.
DOMANDA: Qual è il ruolo dei corpi intermedi (associazioni di categoria, i professionisti, le communities) e dei singoli cittadini nel perseguire lo sviluppo sostenibile?
RISPOSTA: Vorrei fare tre considerazioni. La prima è che non contano solo le politiche ma anche i comportamenti, individuali e collettivi. Con l’Agenda 2030 tutti hanno un ruolo e sono chiamati a contribuire al cambiamento: istituzioni, mondo dell’informazione, della formazione, delle associazioni imprenditoriali, delle reti dei professionisti. In secondo luogo, occorre chiarezza nelle scelte politiche e nella loro condivisione. Queste non possono essere imposte ma per essere realizzate devono godere di consenso e sostegno culturale. Devono indicare, e fare accettare, i costi della transizione verso la sostenibilità dei quattro pilastri, mettendo in luce i vantaggi della transizione stessa. Poiché costi e vantaggi spesso non avvengono nello stesso momento, si tratta di capire come ripartirli. E qui si ritorna al tema della giusta transizione energetica. La terza considerazione riguarda i corpi intermedi: si tratta di orientare i comportamenti di settore in modo da minimizzare i costi. Emblematico in tal senso è il racconto di un direttore di Confindustria, che affermava che l’associazione è come una corda, da una parte tirata dagli innovatori che chiedono di smantellare gli incentivi energetici, dall’altra tirata dai ritardatari, che chiedono di conservare gli stessi incentivi, cercando di posticipare il più possibile l’uscita dal mercato per chi non si adegua alle nuove tecnologie. I corpi intermedi, come le associazioni di categoria, il mondo del credito, della finanza, del sistema assicurativo, hanno un importante ruolo di orientamento delle scelte collettive, così come gli stessi utenti finali. Mi piace citare anche i Saturdays for future, un’iniziativa promossa dall’ASviS che prevede mobilitazioni nazionali per sensibilizzare alla produzione e al consumo responsabile. Si tratta di azioni dirette alla grande distribuzione per stimolare scelte più sostenibili, capaci di coinvolgere competitor e consumatori e orientare intere comunità.
DOMANDA: Quali sono le scommesse più difficili per lo sviluppo sostenibile e quale è la strada per meglio affrontare questa sfida?
RISPOSTA: Siamo di fronte ad una importante sfida culturale: ciò che serve è un cambiamento radicale. Provo a fare un esempio che ha a che vedere con i negazionisti: sei un credente e ti dimostrano che Dio non esiste o all’opposto, sei ateo e ti dimostrano la sua esistenza. Se sei una persona seria, la tua vita non potrà più continuare come prima. Invece, dinanzi a una realtà sovrastante accade spesso che, piuttosto che provare a cambiare, si è portati a sostenere l’insostenibile pur di non accettare una sconfitta personale, trovando capri espiatori o spostando la questione su altri piani. Cosa può accadere a un economista tradizionale se qualcuno di autorevole come il Governatore della Banca d’Italia o un economista del calibro di sir Nicholas Herbert Stern5 afferma che la crisi climatica è il più grande fallimento dell’umanità e del mercato? Di certo dovrebbe prendere questa notizia sul serio: si tratta evidentemente di un forte shock che dovrebbe costringere le persone ad aprire gli occhi e modificare la percezione del reale e il proprio comportamento. Ciò a cui assistiamo spesso è invece una difesa dell’assurdo, attraverso affermazioni negazioniste: “non è vero!”, “se pure succede non è colpa dell’uomo”, “il mercato o la tecnologia risolveranno i problemi”, proprio come ora afferma Trump e come tanti economisti e politici hanno dichiarato nel 1972 quando venne pubblicato il Rapporto sui limiti della crescita6. Questo approccio di crescita economica illimitata ha generato i danni che oggi vediamo ed è evidentemente inadeguato. Si tratta del modello neoliberistico degli ultimi quarant’anni, che oggi mostra tutte le sue criticità. Le importanti e profonde trasformazioni che i precedenti modelli economici hanno creato si scontrano con il concetto di limite, una barriera che nella tradizionale modellistica economica non esisteva, così come nelle teorie sociologiche. Oggi sappiamo invece che esistono le soglie ecologiche: la scienza (al netto dei negazionisti) ci mostra con molta chiarezza che stanno accadendo eventi devastanti che hanno a che vedere con forme di non linearità, al contrario dei modelli economici classici basati proprio sul concetto di linearità. Si tratta di fenomeni con forti discontinuità, processi accelerati e progressivi, che sembrano non governabili dagli approcci e dai modelli tradizionali. Non è sorprendente vedere che oggi coloro che per quarant’anni hanno sostenuto modelli di economia tradizionale si trovino in grave difficoltà, scoprendo che i modelli concettuali su cui hanno lavorato tutta la vita siano inadeguati. Si tratta, torno a dire, di idee e posizioni economiche neoliberiste classiche, capaci di negare che le disuguaglianze siano un problema o che esistano problemi cruciali di monopolio tecnologico, in grado di influenzare i flussi informativi, il c ontrollo del consenso, della privacy, e gli effetti dello sviluppo della stessa intelligenza artificiale. Oggi anche il mondo della finanza, che pure ha alimentato per quarant’anni anni il cosiddetto turbo capitalismo, sta facendo la più grande e rapida svolta degli ultimi decenni puntando sempre di più verso investimenti orientati alla sostenibilità. Ovviamente tra i soggetti più interessati al tema troviamo in prima fila i gruppi assicurativi, seriamente preoccupati degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici in atto e delle conseguenze sul settore. In definitiva, la questione del cambio di paradigma non ha a che fare solo con la percezione di un mondo in pericolo, ma significa modificare profondamente i nostri modelli di riferimento e il nostro operare quotidiano. Non sarà facile: se esistessero due sportelli indicati rispettivamente con i cartelli “salvare il mondo” e “cambiare le proprie abitudini”, davanti al primo ci sarebbe infatti una fila lunghissima, mentre davanti al secondo non ci sarebbe nessuno.
DOMANDA: Quale ruolo svolgono le diverse tecnologie e il trasferimento tecnologico nei nuovi modelli di sostenibilità?
RISPOSTA: Per portare il mondo verso un maggiore equilibrio non serve solo una governance e un cambiamento di mentalità. È necessario anche il cambiamento prodotto dallo sviluppo delle tecnologie, senza le quali non sarà possibile fornire energia a tutti e a costi accettabili e sfamare tante persone in modo sostenibile dal punto di vista ambientale. Condizione necessaria, ma non sufficiente, è dunque avere a disposizione tecnologie nuove e investimenti in innovazione, ricerca e sviluppo e trasferimento tecnologico.
DOMANDA: Quale sfida internazionale ci aspetta nel rapporto tra i paesi in via di sviluppo e quelli avanzati?
RISPOSTA: Proprio per il rapporto e ruolo dei paesi ricchi rispetto a quelli in via di sviluppo dobbiamo essere coscienti che la scelta di una etica condivisa sullo sviluppo sostenibile rende tutto molto complicato, con criticità analoghe al tema dell’immigrazione. Secondo alcuni la responsabilità dello status quo è dei paesi occidentali, che hanno impedito al resto del mondo possibilità di sviluppo e lo devono “risarcire” attraverso importanti aiuti allo sviluppo per evitare (o almeno minimizzare) i flussi continui di migranti. Altri ritengono invece che occorra fermare i flussi migratori, lasciando popolazioni più disagiate alla loro sorte o, al limite, aiutandole nei paesi di provenienza (come si dice “a casa loro”). Il tema etico è cruciale. Poiché non si trova un accordo, è difficile arrivare a una soluzione condivisa. La logica cooperativa anche nei confronti dei paesi in via di sviluppo comporta costi insostenibili anche per i paesi sviluppati. Questa interdipendenza tra le diverse parti del mondo non è esattamente ciò che è stato spiegato nei corsi di economia per decenni e che ha a che vedere con il cambiamento della distribuzione dei poteri. Si tratta di una questione enorme, una delle sfide più importanti del futuro della nostra civiltà. Un tema chiave, come ben spiegato da Bauman7 nel suo libro Retrotopia – al quale ho cercato di rispondere con il mio libro Utopia sostenibile8 – è che la velocità dei fenomeni attuali è tale che le scelte dovrebbero essere radicali, tempestive e urgenti. Tali scelte devono essere però fatte dalla nostra generazione che ha strutture mentali inadeguate ad affrontare un fenomeno intergenerazionale e che dunque rifiuta di scegliere inseguendo la retrotopia, cioè invertendo la rotta e camminando a ritroso. Comunque, la questione implica uno sforzo talmente grande che non basta l’impegno né di singole organizzazioni né di singoli paesi.
DOMANDA: Lasciamoci con un messaggio positivo
RISPOSTA: Il messaggio positivo è contenuto nella svolta intrapresa dalla nuova Commissione Europea, anche se avviene con 5 anni di ritardo perché l’esecutivo Ue guidato da Juncker non ha voluto credere in un nuovo percorso. Adesso l’Europa cambia rotta, per scelta e per necessità. “È il nostro uomo sulla luna” ha detto la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen dopo l’adozione nel dicembre 2019 dell’European Green (New) Deal. Si tratta di un segnale straordinario, storico, anche se è ancora tutto da realizzare. Il processo di consapevolezza sui temi dello sviluppo sostenibile degli ultimi tre anni è per me un segnale di speranza: ci sono molte difficoltà ma il disfattismo non ci porterà da nessuna parte. Molte delle nostre speranze e del lavoro messo in atto inizia a concretizzarsi: occorre tenacia. Ci siamo lasciati a febbraio. Poi è arrivata la pandemia e il mondo ha mutato faccia in pochi giorni. Quali sono i principali cambiamenti sopraggiunti e quali prospettive dobbiamo attenderci? Ci sono quattro considerazioni da fare. La prima si collega al Rapporto di maggio 2020 dell’ASVIS, con dati confermati anche nelle indagini demoscopiche a livello internazionale (es. IPSOS): la sensibilità ai temi della sostenibilità è cresciuta notevolmente nel corso della crisi, sia nel lockdown che successivamente, e tanti hanno iniziato a creare un collegamento diretto tra la condizione di salute del pianeta e quella delle persone. Ricordiamo la frase di Papa Francesco, che richiama la strategia della OMS: “Non si può essere sani in un pianeta malato”. Questa sensibilità – seconda considerazione – si ritrova in una maggiore attenzione da parte del mondo privato e della finanza internazionale e nazionale, perché in questo periodo sono aumentate le sottoscrizioni di fondi di investimenti responsabili e sostenibili ed è aumentata l’offerta di social bonds e titoli che cercano di dare risposte alle tematiche della pandemia e alla sostenibilità dello sviluppo. Il terzo aspetto è il comportamento delle imprese: il 40% di quelle che avevano scelto la sostenibilità prima della crisi si sono trovate già orientate alla ripartenza, percentuale che invece scende al 20% per le imprese che non avevano fatto questa scelta. Il quarto elemento è costituito dal fatto che l’Europa ha deciso di rispondere alla sfida della pandemia non derogando agli obiettivi del Green New Deal, alla digitalizzazione e alla lotta delle disuguaglianze identificate prima della crisi; anzi, con l’iniziativa Next Generation EU9 è stata determinato un cambiamento storico per l’Europa, con una decisione particolarmente significativa che prevede un orientamento del debito pubblico europeo nella direzione dello sviluppo sostenibile. Naturalmente è evidente che la crisi non giova allo sviluppo sostenibile: molti obiettivi sono stati colpiti duramente, in particolare, quelli di carattere sociale ed economico; i benefici ambientali sono stati invece significativi, ma è evidente che hanno carattere transitorio, a meno che non venga cambiato il modello di sviluppo. È uscita su qualche tabloid una vignetta nella quale un genitore rassicura il figlio che lavandosi le mani tutto andrà bene. Nel mentre arrivano le ondate del COVID 19, della recessione e infine quella più grossa del cambiamento climatico. Che cosa ti fa venire in mente? È evidente che i fondi nazionali, nei mesi scorsi, sono stati in gran parte orientati alla protezione, molto meno alla preparazione, alla prevenzione e alla trasformazione. Per arginare la crisi sono stati di fatto impegnati tutti i fondi disponibili, con uno sforzo titanico. A questo punto l’unica speranza per la trasformazione è da riporre nei fondi europei. L’aspetto positivo è però il fatto che l’UE ha tenuto la barra dritta rispetto agli obiettivi del Green New Deal, al punto tale che il contributo alla transizione ecologica e digitale diventa addirittura una precondizione per poter utilizzare i fondi del Next Generation EU: non si tratta di punteggi aggiuntivi per assegnare le risorse ai progetti, ma parliamo a tutti gli effetti di una condizionalità (precondizione). Il Next Generation EU è un’opportunità importante, una sfida straordinaria per il nostro Paese, che deve pianificare il futuro con visione, evitando un piano che sia un assemblaggio di proposte fatte dai singoli Ministeri. Di recente in alcuni eventi pubblici ho appunto detto che il governo si prenda il tempo giusto per farlo, senza la necessità di chiudere il 15 ottobre, primo giorno in cui si possono presentare le proposte. C’è tempo fino ad aprile 2021, perché tanto i soldi prima non arriveranno. Meglio prendere il tempo giusto e evitare di perdere un’occasione unica, senza dubbio storica. Com’è stata l’esperienza della task Force (n.d.r. il prof. Giovannini ha fatto parte del gruppo di lavoro guidato da Vittorio Colao a supporto tecnico del Governo) Estremamente interessante. La prima parte del nostro lavoro ha aiutato il governo a definire una strategia per le riaperture e le proposte che abbiamo fatto sono state utili perché in parte recepite nel decreto semplificazione, in parte inserite nel documento utilizzato per gli Stati Generali, che dovrebbero essere parte dello schema per il Piano nazionale di ripresa e di resilienza. La nostra proposta è stata peraltro definita alla luce di ciò che stava emergendo nelle negoziazioni con l’UE. Avevamo identificato tre priorità: la digitalizzazione, la transizione ecologica e la lotta alle disuguaglianze, temi che, guarda caso, sono poi risultati coincidenti con ciò che la UE ha indicato per i fondi. La mia speranza è che quel lavoro – benché prodotto con i limiti organizzativi del momento di lockdown – sia utilizzato adeguatamente
1 Il Club di Roma è una associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti. Fu fondato nell’aprile del 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel e leader politici e intellettuali fra cui Elisabeth Mann Borgese. La sua missione è di agire come catalizzatore dei cambiamenti globali. Il Club di Roma è una sorta di cenacolo di pensatori dediti ad analizzare i cambiamenti della società contemporanea. Famoso è il Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta.
2 Benessere equo e sostenibile. Il benessere equo e sostenibile (BES) è un set di indicatori sviluppato dall’ISTAT e dal CNEL al fine di valutare il progresso di una società non solo dal punto di vista economico, come ad esempio fa il PIL, ma anche sociale e ambientale.
3 Costituzione italiana, Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
4 Il concetto di sviluppo sostenibile fu elaborato dalla Commissione Brundtland sulla base di due elementi fondamentali: l’ambiente quale dimensione essenziale dello sviluppo economico e la responsabilità intergenerazionale nell’uso delle risorse naturali. La Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), tenuta a Rio de Janeiro nel 1992, ha consolidato il principio dello sviluppo sostenibile attraverso la sua formalizzazione negli atti adottati a conclusione del Vertice: la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, l’Agenda 21, e la Dichiarazione sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste. La nozione di sviluppo sostenibile è stata accolta anche nei trattati ambientali aperti alla firma a Rio: la Convenzione sui cambiamenti climatici, entrata in vigore nel 1994, e la Convenzione sulla diversità biologica, entrata in vigore nel 1993. Più in particolare, l’art. 2 della Convenzione sulla biodiversità contiene la nozione di ‘sostenibilità’, definendo ‘sostenibile’ l’uso delle risorse biologiche secondo modalità e a un ritmo che non ne comportino una riduzione a lungo termine e che preservino le capacità di soddisfare le esigenze delle generazioni presenti e future. Gli atti di Rio e le successive conferenze mondiali promosse dalle Nazioni Unite, in specie la Conferenza di Johannesburg del 2002, confermano una configurazione del principio dello sviluppo sostenibile fondata su tre fattori interdipendenti: tutela dell’ambiente, crescita economica e sviluppo sociale. A partire dall’UNCED, lo sviluppo sostenibile si è consolidato quale principio di diritto internazionale e ha contribuito all’evoluzione del diritto internazionale ambientale attraverso la conclusione di trattati ambientali globali e di numerosi accordi di carattere regionale. Nell’ambito dell’Unione Europea, lo sviluppo sostenibile è posto a fondamento delle azioni e delle politiche dell’Unione in materia ambientale (fonte Treccani)
5 Nicholas Herbert Stern, barone Stern di Brentford (Hammersmith, 22 aprile 1946), è un economista e accademico inglese, autore del Rapporto Stern sui cambiamenti climatici pubblicato nell’ottobre del 2006.
6 Il Rapporto sui limiti dello sviluppo (dal libro The Limits to Growth. I limiti dello sviluppo), commissionato al MIT dal Club di Roma, fu pubblicato nel 1972 da Donella H. Meadows (13 marzo 1941 / 20 febbraio 2001), Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III. Il rapporto, basato sulla simulazione al computer World3 predice le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. In estrema sintesi, le conclusioni del rapporto sono: Se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale. È possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.
7 Zygmunt Bauman (Poznam, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) è stato un sociologo, filosofo e accademico polacco. Descrive la postmodernità usando le metafore di modernità liquida e solida. Nei suoi libri sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. In particolare, egli lega tra loro concetti quali il consumismo e la creazione di rifiuti umani, la globalizzazione e l’industria della paura, lo smantellamento delle sicurezze e una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa, e così via.
8 Enrico Giovannini, L’utopia Sostenibile – Laterza&figli, 2018
9 La proposta della Commissione Europea, relativa a un piano di ripresa di ampio respiro afferma che la ripresa stessa dev’essere sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa per tutti gli Stati membri: a questo fine la Commissione ha proposto un nuovo strumento per la ripresa, Next Generation EU, incorporato in un bilancio dell’UE a lungo termine rinnovato, potente e moderno. La Commissione ha inoltre presentato il programma di lavoro 2020 adattato, in cui è data priorità agli interventi necessari per sospingere la ripresa e aiutare la resilienza dell’Europa.