Territorio – Ambiente = Urbanistica Ambientale. Il contributo del prof. Marchi
Riceviamo il seguente contributo personale da parte del Professore Giampaolo Marchi, docente di Estimo e Urbanistica presso l’Università degli studi di Cagliari; lo riproponiamo ai nostri utenti, nell’ottica di stimolare il dibattito su un argomento così importante per il nostro territorio.
“Territorio – Ambiente = Urbanistica Ambientale”
Sino ad oggi la pianificazione ha così normato la trasformazione del territorio.
– An: se sia possibile o meno trasformarlo;
– Quomodo: come sia possibile trasformarlo:
– Quantum: in che misura sia possibile la trasformazione.
Il tutto basato su riferimenti indeterminati nel tempo, nelle forme, ed in definitiva meramente quantitativi.
La trasformazione avrebbe dovuto rispondere a precise richieste organizzative e gestionali riguardanti la popolazione, le attività ed i luoghi.
Trasformazioni affidate ai differenti livelli di piano, gerarchicamente ordinati e peraltro caratterizzati dai seguenti limiti:
– le trasformazioni sono meramente ipotetiche, ovvero possibili ma non offrono alcun elemento di certezza in merito alla concreta e attendibile attuazione;
– le modalità della trasformazione mutano in continuazione e sono contaminate da pesanti risvolti normativi e burocratici tanto da rendere aleatoria la previsione e le caratteristiche di qualsivoglia intervento;
– la misura della trasformabilità è affidata al decisore, per il tramite del “tecnico” pianificatore che, in modo sostanzialmente arbitrario, decide di elargire volumetrie edificabili a suo insindacabile giudizio.
Tutte le volumetrie insediative sono il più delle volte meramente ipotetiche ed assolvono per i privati, nonché fortunati che se le vedono assegnare, la funzione di “valore di riserva aurea patrimoniale”. Per i detentori pubblici rivestono invece il valore fittizio di una “vana promessa” di infrastrutturazione a servizio del privato o degli interessi collettivi.
In questo contesto la ipotetica trasformazione quantitativa del territorio tenta di districarsi inevitabilmente tra differenti situazioni di permanente conflitto:
– l’iniqua distribuzione di valori, spendibili al pari della moneta, tra i pochi fortunati assegnatari delle volumetrie ed i moltissimi altri soggetti, che pur detentori di paritari interessi (quelli garantiti costituzionalmente) non partecipano alla ripartizione;
– l’iniquo contrapporsi tra gli interessati alla trasformazione e le esigenze di tutela dei valori comuni, ricomprendenti quelli ambientali;
– la guerra, quasi mai dichiarata, ma sempre presente e latente, tra un malinteso ambiente e l’attività dell’uomo.
La normativa e l’organizzazione del territorio sino ad oggi perseguita ed attuata ha chiaramente dimostrato di non essere sostenibile.
Da un lato ha distribuito a taluni considerevoli profitti cui hanno corrisposto in danno di altri ben maggiori e diffusi depauperamenti. Dall’altro lato ha posto alcuni nella veste di fruitori di plusvalenze immotivate mentre altri hanno dovuto, con i loro beni non trasformabili, non solo alimentare tali plusvalenze ma implementarle avendo cura di esser sempre funzionali al loro servizio.
In questo contesto si collocano le differenti competenze istituzionali che vedono lo stato apparentemente detentore, anche nei confronti della Sardegna, della tutela ambientale e la regione primeggiare, per competenza primaria, in materia di trasformazione del territorio sia urbanistica sia edilizia.
Il nuovo corso del governo del territorio, da porre a base delle soluzioni condivise, deve abbandonare le vecchie politiche ambientali ed urbanistiche quantitative per passare a quelle qualitative ed unificanti nei confronti della trasformazione possibile, attesa, nonché coscientemente voluta.
Per fare ciò è necessario introdurre l’equità negli strumenti normativi che regolano le politiche territoriali sia ambientali sia pianificatorie; equità non più espressione di un timido e disorganico intervento perseguito dai singoli strumenti di piano, ma legislativamente fondata.
Non è complicato farlo. Basta separare, con norma giuridica, lo ius aedificandi dal “disegno del piano”.
Tutti sono proprietari, in ragione del suolo posseduto, della volumetria minima che allo stesso, per consolidata giurisprudenza, compete (0,01 mc/mq).
Tutti sono titolari dei beni ambientali e non rivali che per definizione sono “beni comuni”.
Lo strumento del piano, secondo questi principi, cessa di assolvere alla funzione di mero indirizzo, puramente previsionale, e si trasforma in un “progetto concreto” di trasformazione che, pur insistendo in uno specifico contesto e su una precisa area, non omaggia ai proprietari dei suoli alcunché in più di ciò che possiedono; cioè la volumetria minima comune a tutti.
I proprietari degli areali consapevolmente trasformabili, ovvero i loro sostituti già giuridicamente previsti, per dare attuazione concreta al progetto dovranno comprare, sul mercato telematico, la volumetria fattibile che, espressa in diritti edificatori, potrà essere venduta da coloro che non rientrando nel progetto assolvono agli impegni della conservazione; questa sì intesa quale plusvalore conferito alla trasformazione progettata.
L’equità distributiva delle risorse e delle possibilità trasformativa delle stesse, impone che, nel terzo millennio, l’intera Isola funzioni come “comparto edificatorio ambientalmente conformato e tutelato nel suo complesso” all’interno del quale tutti entrino con pari valori conferiti, con uguale dignità ed interessi comuni e tutti godano dei frutti economici e di quelli immateriali derivanti dalla tutela dei beni collettivi.
Questa concezione delle regole insediative, pur apparentemente complessa, si fonda integralmente su principi giuridici ampiamente consolidati nel nostro ordinamento; principi che richiedono solo di essere organicamente collegati e posti in essere. Farlo non è complicato, richiede solo applicazione, sgomberando la mente dagli impalcati ideologici che, parafrasando il rapporto Bruntland, dovrebbe consentirci di passare dal Our Common Future agli Our Future Commons.
Giampaolo Marchi